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Guido Giuliani

Lo schwa ( ə ) e la disabilità: l'inclusione può essere non accessibile?

Lo schwa porta all'inclusione anche delle persone non binarie, oltre che del genere femminile, ma può portare ad aspetti non inclusivi, specie in relazione alle persone con disabilità.

Negli ultimi anni un tema molto caldo sui media italiani è diventato lo “schwa”. Se da un lato troviamo i ferventi sostenitori dell’inclusione a ogni costo, dall’altro rinveniamo i più conservatori, che si oppongono radicalmente a questa novità. In un dibattito così polarizzato si rischia però di dimenticare alcuni aspetti importanti, come l’impatto che la schwa può avere sulle persone con disabilità, in particolare per la sua incidenza sulla comprensione di un testo scritto. Vediamo quindi come lo schwa interagisce con le tecnologie assistive, come gli screen reader, e quali soluzioni si possono adottare.

Che cos’è lo schwa ( ə )?

Lo schwa o scevà, nome che indica una e ruotata di 180° ( ə ). Tale simbolo appartiene all’IPA, International Phonetic Alphabet o Alfabeto Fonetico Internazionale, e rappresenta un suono da emettere con la bocca rilassata e aperta. Si tratta di un suono che ricorda lo jamm napoletano o l’about inglese.

Tale vocale è una proposta da tempo esistente fra i sociolinguisti, ossia quegli studiosi che analizzano i rapporti fra lingua e società. La proposta è diventata di dominio pubblico solo in epoca recente, quando una parte dei media italiani si è scagliata contro questa innovazione, ritenendola un’aberrazione del “politicamente corretto” (espressione inventata dall’opinione pubblica più conservatrice, se non addirittura reazionaria).

La storia dello schwa

Lo schwa non è un’invenzione dei sociolinguisti italiani. Soluzioni con simili intenti si sono spesso adottate negli anni passati: per esempio la vocale “u”, che costituisce una tecnica simile a quella adottata nella lingua spagnola, dove si utilizza la “e” (todos, todas, todes), o l’asterisco, che comporta omissione della vocale. Altre persone avevano proposto la x come ultima lettera della parola, oppure la @.

Le prime tracce dello schwa si rinvengono nella proposta di Luca Boschetto, che potete trovare qua. In seguito, la casa editrice effequ ha iniziato a utilizzare lo schwa, adottandolo stabilmente per la collana “Saggi brevi”. Vari studiosi e varie studiose hanno poi utilizzato lo schwa nelle loro pubblicazioni, come Michela Murgia, Chiara Tagliaferri, Vera Gheno, Fabrizio Acanfora.

La vera fama, per lo schwa, arriva con un articolo di Mattia Feltri, dal tenore reazionario, fortemente critico verso lo schwa, con un tono tagliente e di scherno. Il trafiletto, dal titolo Allarmi siam fascistə, pubblicato sul quotidiano La Stampa, consentì allo schwa di entrare nel discorso pubblico, seppure per le opinioni critiche della maggior parte degli opinionisti.

Perché utilizzare lo schwa

L’utilità dell’introduzione di un suono come lo schwa si rinviene nella possibilità di offrire una rappresentazione, nella lingua parlata e scritta, anche alle persone non binarie, ossia quelle persone che non si identificano in nessuno dei due generi.

Inoltre, se utilizzata al plurale, lo schwa costituisce una valida alternativa al maschile sovraesteso. Con questa espressione si indica infatti la regola grammaticale, da sempre insegnata nelle scuole italiane, per la quale, di fronte a una pluralità di persone appartenenti a generi diversi, vada usato il maschile, anche se, appunto, non tutte le persone cui ci si rivolge appartengono al genere maschile.

Perché non utilizzare lo schwa

Al netto delle ragioni contrarie allo schwa relative alle disabilità, di cui tratteremo nel paragrafo seguente, i “nemici” dello schwa ricorrono a motivazioni di carattere fondamentalmente reazionario.

In primis v’è chi ritiene che lo schwa sia un’imposizione dall’alto, frutto di un’invenzione di un'élite politicamente corretta che sceglie di adottarlo come simbolo di autoidentificazione. Tuttavia, come sottolineano altri sociolinguisti e altre sociolinguiste, lo schwa si è già diffuso nell’uso comune, per quanto non sia preponderante, e non può quindi essere ritenuto un’imposizione dall’alto.

In secundis ci sono studiosi, anche importanti, che affermano l’incompatibilità di uno “strumento” come lo schwa con la lingua italiana e le sue strutture.

Infine, v’è chi ritiene che lo schwa sia un tentativo di “opacizzazione del genere” e che porti a una cancellazione del genere femminile. Adottando tale soluzione, vi sarebbe infatti chi continuerà a utilizzare il maschile sovraesteso e chi utilizza lo schwa, senza spazio per il femminile. A ciò si risponde che lo schwa serve proprio a dare rappresentanza al genere femminile, nonché alle persone non binarie, col superamento del maschile sovraesteso.

Lo schwa e le disabilità

Tra le motivazioni contrarie allo schwa più fondate vi sono quelle relative alle disabilità. Innanzitutto, lo schwa può rappresentare un problema per le persone con DSA, nonché per le persone anziane, trattandosi di un carattere poco comune e di nuovo utilizzo. Il problema esiste, ma si tratta di un problema soggettivo, per cui non mancano opinioni contrarie fra chi presenta queste disabilità.

Inoltre, secondo una prospettiva intersezionale, la lotta per certi diritti non deve andare a discapito di un’altra lotta: se lo schwa non è la soluzione appropriata per tutelare entrambe le posizioni, nulla vieta di cercarne di ulteriori.

Lo schwa e gli screen reader: le soluzioni

Un ulteriore problema si presenta riguardo agli screen reader. Queste tecnologie, essenziali per le persone con disabilità visiva, non sono in grado di leggere lo schwa, in quanto si tratta di un carattere non ancora standardizzato nell’alfabeto italiano. Ancora prima si era posta la questione della mancanza del carattere sulle tastiere: se tale problema permane per i pc, i sistemi Android, seguiti subito da iOs, hanno implementato lo schwa sulle tastiere touch-screen degli smartphone. Questi problemi sono certamente rilevanti, ma sarebbero risolvibili se si volesse applicare il dovuto correttivo ai software assistivi, come avvenuto appunto sulle tastiere degli smartphone.

Tuttavia, il fatto che, al momento, ciò non sia avvenuto, impone cautela per quanto riguarda la comunicazione istituzionale e amministrativa. Il Comune di Castelfranco Emilia aveva adottato lo schwa nei suoi comunicati: l’iniziativa è lodevole per gli intenti, ma può portare problemi concreti importanti per le persone anziane e con disabilità. Ecco perché, nella comunicazione istituzionale, è meglio utilizzare soluzioni neutre dal punto di vista del genere.

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