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Dajana Gioffrè

Le donne con disabilità: una fotografia europea

La disabilità in Europa coinvolge prevalentemente le donne, con oltre il 29% colpite rispetto al 25% degli uomini (dati 2022). Queste donne affrontano discriminazioni legate al genere, non solo nei contesti di cura, ma anche sul lavoro, nella scuola e nella sicurezza domestica. È essenziale adottare un approccio "intersezionale" nelle politiche sulla disabilità, considerando le diverse dimensioni di ogni individuo, e fare lo stesso quando si sviluppano politiche specifiche per le donne. Bisogna superare la retorica della minoranza, poiché oltre il 20% della popolazione non può essere considerato trascurabile.

Quando si riflette sul tema della disabilità in Europa, raramente si pensa al fatto che la maggior parte delle persone prese in considerazione siano donne. Di fatto però più del 29% delle donne europee hanno una disabilità, a differenza degli uomini che sfiorano il 25% (dati aggiornati al 2022). Le donne con disabilità hanno esigenze specifiche e spesse volte discriminazioni che hanno una relazione più vicina al loro essere donne più che alla presenza della condizione di disabilità e questo non solo nei contesti di cura e di supporto. Parliamo infatti dell’ambiente lavorativo, scolastico, del tempo libero e della sicurezza in casa e per le strade. La sostanza è che è necessario, quando si ragiona in termini di politiche e azioni per e sulla disabilità, da una prospettiva cosiddetta “intersezionale” che tenga quindi conto delle diverse caratteristiche di una persona, poiché la condizione di disabilità non rende la persona uno “standard” che perde la sua condizione socio-culturale, preferenze sessuali, età, condizione fisica o, appunto, genere. Quando parliamo di donne con disabilità quindi bisogna pensare a politiche sulla disabilità cucite anche sulle loro esigenze e la stessa cosa deve avvenire quando vengono pensate e diramate politiche per le donne. Un approccio che preveda in ogni caso la considerazione delle diverse condizioni umane che fanno parte della vita di tutti noi, abbandonando la retorica della minoranza: come si può considerare infatti una minoranza più del 20% della popolazione?

Il III manifesto sui diritti delle donne e delle ragazze con disabilità

Da anni ormai il Forum Europeo della disabilità ha preso in carico il tema delle donne con disabilità. Il suo gruppo di lavoro ha diramato più manifesti e ha attenzionato la Commissione Europea su vari fronti, mettendo sempre in luce quanto un approccio intersezionale sin dal concepimento delle policy per le donne dell’Unione Europea sia fondamentale. A questo link troviamo l’importante lavoro fatto dall’EDF che concentra le sue richieste e la sua prospettiva su alcuni temi fondamentali: la violenza contro le donne e le ragazze con disabilità (che approfondiremo più avanti in questo scritto), le conseguenze della Pandemia da COVID-19, il cambiamento climatico, l’accessibilità, crisi economica e povertà, guerra ma soprattutto il concetto di empowerment, della donna con disabilità come fautrice del proprio destino e delle proprie scelte, per sdoganarla finalmente dall’immaginario stereotipico che la vede come un essere passivo, privo di volontà e possibilmente a-sessuato. A questo concetto viene quindi affiancato quello di “leadership”, non solo come concetto di favorire l’inserimento delle donne e delle ragazze con disabilità in posizioni di comando, ma come leader della loro vita, come persone che hanno il diritto di prendere le loro personali decisioni, attraverso servizi e mondo digitale e fisico più accessibili, attraverso politiche che prendano in considerazione le loro necessità, uscendo in sostanza dall’ombra in cui non intendono più stare. Un manifesto importante quindi, di cui invitiamo la lettura perché ci offre anche una fotografia oggettiva della vita delle donne con disabilità: per la sua costruzione, infatti, l’EDF ha diffuso un questionario a cui hanno risposto 500 cittadine europee, che ci offre una fotografia tragica, un dato tra tutti: più del 58% delle donne che hanno risposto ha subito una qualche forma di violenza.    

La violenza sulle donne con disabilità: questione di prospettive e linguaggio

In Italia le donne con disabilità hanno il doppio delle probabilità di essere vittime di violenza. Questo numero è il frutto dei dati raccolti dall’ISTAT nell’ultima ricerca che ha finalmente previsto la raccolta di dati disaggregati sulle donne vittime di violenza e quali hanno una qualche forma di disabilità. I dati Eurostat non sono migliori e la ricerca condotta dall’EDF ci dice che il 58% delle donne che hanno partecipato alla loro ricerca sulle condizioni di queste donne, ammette di essere stata vittima almeno una volta di una violenza. Ma di quali violenze stiamo parlando? Per violenza non si intende solo quella più diffusa nel nostro immaginario e che più ci tocca emotivamente, ovvero la violenza sessuale, ma nel caso delle donne con disabilità parliamo di violenze più nascoste, come il rifiuto da parte del caregiver di aiutare la donna con disabilità, non consentirle di usare in autonomia il suo denaro, impedirle di uscire di casa sotto ricatto. A queste si aggiungono le violenze sessuali che alle volte vengono perpetrate da parte di operatori delle strutture in cui sono ricoverate o ancora da parte di mariti o genitori violenti.

Un tema fondamentale quando si parla di violenza e addirittura omicidi sulle donne con disabilità (in Italia l’11% dei femminicidi hanno coinvolto donne con disabilità), è il linguaggio. Quando un caregiver compie il gesto estremo di uccidere la moglie o la figlia disabile spesso i giornali pubblicano titoli come “Esasperato dalla situazione: uccide la figlia”. Quale situazione? Soprattutto, quale giustificazione? Con una narrazione di questo tipo anche l’omicida si fa vittima, parte di una tragedia che vede come causa principale la disabilità, evitando così di puntare i riflettori sul reale problema: la mancanza di tutele e l’impossibilità delle donne vittime di tali tragedie di segnalare, rendersi conto della situazione tragica in cui stanno vivendo e di uscirne prima che sia troppo tardi. La comunicazione giornalistica odierna usa un linguaggio che si fa complice di tali violenze, perché la visione delle donne con disabilità diventa così parte di un circolo vizioso che ha conseguenze disastrose.      

L’accessibilità come aiuto e supporto

Secondo il mio parere l’accessibilità è uno degli strumenti che possono intervenire meglio sul miglioramento delle condizioni di vita delle donne con disabilità. Attraverso l’accessibilità la donna può sentirsi più autonoma e capace di uscire da situazioni di violenza, di pretendere di essere protagonista della sua vita, di mettere in discussione paradigmi che la classificano come un essere passivo su tutti gli ambiti della vita.

L’accessibilità digitale, inoltre, può avere un ruolo cruciale per raccogliere informazioni e chiedere aiuto: poter contare su pagine web accessibili che consentano di accedere a servizi dedicati alle donne, partecipare a comunity di persone che possono aiutare la donna a sentirsi parte di un gruppo che possa supportarla a denunciare o ancora venire a conoscenza dei propri diritti, sono tutte informazioni a cui si ha accesso soprattutto attraverso il mondo digitale. Ecco allora che il servizio pubblico o la locandina con un PDF scaricabile possono diventare la fonte di informazioni cruciali per una donna con disabilità, senza contare il fatto che il web assicura l’anonimato ed è possibile accedervi anche da casa in cui, come abbiamo visto, spesso vengono relegate.

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